Il tema:

quali metodiche per aiutare gli studenti nello sviluppo di idee?

I risultati di un esperimento

                                              del prof. Giuseppe Tidona

Introduzione

 

Chi insegna Italiano e si trova frequentemente a far svolgere temi ai suoi alunni sa che, ogni volta che si assegna un titolo, essi hanno la tendenza a manifestare la loro reazione (positiva o negativa che sia) ancora prima che il docente abbia finito di dettare la traccia; prima ancora, quindi, che abbiano avuto la possibilità di rifletterci per un tempo adeguato e di comprenderne tutti i possibili risvolti. E' come se in una frazione infinitesimale di secondo, repentinamente, essi avessero una sorta di "intuizione", per cui, in forza di questa improvvisa illuminazione, fossero capaci di precorrere tutto lo svolgimento e di anticiparne la fine: positiva (grazie ad una trama anticipatamente immaginata come ricca) oppure nulla, cioè negativa, il vuoto assoluto, la mancanza di idee.

I docenti sanno anche quanto queste reazioni improvvise da parte degli alunni più istintivi siano capaci di "propagarsi", di condizionare gli altri che erano rimasti in posizione neutrale e di farli conseguentemente schierare da una parte o dall'altra. E' come se cioè i discenti più "veloci" avessero la capacità di indurre nei più "inerti" un simile repentino esito, di avviare in loro un eguale fulmineo processo di "chiusura", prima ancora che ogni seria "apertura" sia stata avviata.

Con questo non voglio dire che quelli la cui reazione è stata estremamente positiva svolgeranno un ricco tema al contrario degli altri che consegneranno, invece, in bianco, o al massimo un foglio con parecchie cancellature e poche ideuzze stiracchiate e riformulate con sinonimi mal assortiti attraverso righe successive. Può anche essere che gli alunni del primo gruppo, un volta avviato il tema, svolgano un compito infarcito solo di luoghi comuni e di idee trite e ritrite, mentre i secondi (quelli della "reazione negativa") abbiano la capacità poi di trovare qualche idea dignitosa in se stessi. Certo succede più di rado, ma può succedere.

 La mia è, invece, la constatazione di questa semplice realtà: la composizione del tema viene immaginata da molti studenti (ma ….anche da qualche insegnante) come un tutto o un nulla. O c'è o non c'è. O hai le idee oppure non hai le idee. Velocissimamente hai guardato dentro te stesso ed hai visto che, sì, le idee ci sono. Oppure no, non ci sono assolutamente idee.

Ovviamente i docenti sanno anche che spesso la prima reazione è condizionata, in una certa misura, dalla fiducia nelle proprie capacità, dal livello di autostima, dall'umore, mentre il secondo atteggiamento si collega frequentemente ad una scarsa considerazione di sé. Ma la questione qui è un'altra.

Da un punto di vista educativo- didattico il tema non può essere visto come un tutto od un nulla. Il tema è un "processo", va costruito. Bisogna impedire che esso si esaurisca in una repentina "intuizione". Sì, le "intuizioni" qualche volta possono essere ricche, ma anche in questo caso le idee enucleate non saranno mai tanto doviziose come quando vengono sviluppate attraverso un cammino lungo, anche se magari faticoso. Né, d'altra parte, si può pensare che il ruolo del docente si esaurisca in un generico incoraggiamento all'allievo perché si impegni di più ("Dai, ce la farai, chi si impegna di più prima o poi otterrà risultati positivi!"). Incoraggiare spesso non serve a niente.

Se vogliamo studenti fluenti nella produzione di idee, il tema va insegnato. E va insegnato come processo. Cioè dobbiamo spiegare al discente le sequenze per costruire i temi, dobbiamo impartire delle direzioni, fornire istruzioni sui passi successivi da compiere. E su di essi la ricerca recente ci dà delle precise indicazioni.

Ovviamente accanto al problema del contenuto c'è anche quello della forma: ma, qui, non mi voglio soffermare in particolare su questo aspetto. Comunque, è chiaro che trovare la maniera corretta di esprimere qualcosa è molto più semplice una volta che uno abbia delle idee precise da comunicare.

 

 

Quattro modi di costruire il tema

 

Quali sono, allora, queste metodiche?

Voglio, in particolare, qui illustrare quattro modi per insegnare come costruire il tema.

Il primo modo consiste nello strutturare il titolo in modo tale che esso non provochi una reazione "catartica", nell'impedire che l'alunno "veda" il risultato. Bisogna al contrario ritardare ogni conclusione da parte sua. Pertanto il titolo non sarà mai un titolo "secco". Ad es., se io dessi il titolo: "Descrivi l'aula in cui ti trovi" e basta, sono sicuro che buona parte degli studenti si rifiuterebbero di svolgerlo in quanto banale, non adatto alla loro età, ecc., ecc.; e chi fosse comunque di buzzo buono da affrontarlo, lo svolgerebbe in maniera davvero puerile.

Diverso sarebbe il caso se io invece assegnassi lo stesso tema ma così formulato: "Come prima cosa devi rivolgere la tua attenzione alla parete di destra, descrivendo gli oggetti che vi si trovano appesi: classificali, quindi, in base al loro uso. Osserva, in successione, la parete di fronte, quella di sinistra e quella dietro, compiendo le medesime operazioni di prima. Indirizza, poi, lo sguardo al tuo banco e a quelli a te vicini: dai segni che vedi, riesci ad immaginare la personalità di chi ha occupato tali banchi prima d'ora? Quali problemi questi alunni hanno vissuto, secondo te? Adesso esplora tutto ciò che è possibile vedere attraverso la finestra: che sentimenti ti suscita la vista? Infine, ecc. ecc.".

 Il tema è sostanzialmente lo stesso di prima, ma al ragazzo vengono, in questo ultimo caso, assegnate delle operazioni precise da svolgere passo-passo, per cui non sembra più il compito povero, scontato di prima. La stanza è la stessa, ma nel secondo caso è parsa davvero un'altra stanza!

Sarebbe insomma meglio che tutti i temi fossero accompagnati da istruzioni precise, contenessero, cioè, sequenze processuali, dei passamano del pensiero, come mi piace definirli.

Tutti abbiamo bisogno di guide da seguire quando ci tocca di esplorare zone sconosciute (o, all'opposto, così conosciute, che noi le attraversiamo in maniera automatica, come, cioè, degli automi senza rilevare cose pur particolarmente significative). Ciò avviene anche nel campo della produzione delle idee. Pertanto il tema va "sezionato", vanno previste le fasi successive della sua impostazione.

Il secondo modo di impedire che i discenti arrivino ad una conclusione affrettata, che abbiano una reazione istintiva su cui poi fondare (o...non fondare) tutto lo svolgimento, è quello di spostare questo carico dell'impostazione dal singolo alla coppia di banco. In altri termini bisognerebbe scindere in due fasi distinte lo svolgimento: ad una prima fase in cui gli alunni lavorano in coppia per costruire una scaletta, che stilano attraverso il confronto e lo scambio di idee (alcuni docenti propongono che questa fase duri una ventina di minuti), segue una seconda fase in cui ogni ragazzo lavora in silenzio per sviluppare in maniera propria i punti prima concordati e messi per iscritto. Ognuno avrà, quindi, delle sequenze precise su cui lavorare ed, essendo sgravato del peso del cosa dire, dovrà solo preoccuparsi di come arricchire in maniera personale la scaletta già fissata.

Il terzo modo consiste nell'utilizzo degli organizzatori grafici. Essi sono strumenti utili per dare struttura e sequenze al proprio pensiero.

Nella composizione di un tema due problemi si intrecciano: da una parte quello della ricerca di idee, dall'altra il problema del dare sviluppo e forma a queste stesse idee. Gli organizzatori grafici sono particolarmente validi perché concentrano gli sforzi dei ragazzi solo sul primo aspetto e pertanto, anche grazie alla sequenzializzazione, viene favorita la fluidità di idee. Essi semplificano la sforzo di produrre un tema, incrementando la produzione ideativa del discente.

Gli organizzatori grafici possono assumere diverse forme ma io ne voglio proporre qui, forse, la più semplice.

Se si assegna un componimento non complesso, ad es.: "Cosa pensi della possibilità che siano gli alunni ad autovalutarsi?" (o qualsiasi altro titolo che venga ritenuto più opportuno ed adatto all'età), gli studenti esprimeranno un parere positivo o negativo, a secondo delle loro personali opinioni ed inclinazioni, e chiuderanno l'elaborato in poche righe. Penseranno che tutto sommato non ci sia molto di più da dire se non che si è a favore se la cosa piace, o si è contro se si trova la cosa sconveniente.

Al contrario, se si assegna un semplicissimo organizzatore grafico (v. sotto, fig. A), per dare forma di elenco ai concetti, si accresce il numero delle idee complessivamente prodotte da loro rispetto alla semplice assegnazione del titolo con nessun'altra consegna se non quella tradizionale di svolgerlo in maniera espositiva.

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Fig. A

 

Titolo

Cosa pensi della possibilità che siano gli alunni ad autovalutarsi?

Elenca le tue idee, riempendo le righe vuote sotto tracciate.

Svolgimento

1……………………………………………………………………………………………

2……………………………………………………………………………………………

3……………………………………………………………………………………………

4……………………………………………………………………………………………

5……………………………………………………………………………………………

6……………………………………………………………………………………………

7……………………………………………………………………………………………

8……………………………………………………………………………………………

9……………………………………………………………………………………………

10…………………………………………………………………………………………

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Perché delle elementari righe vuote agiscono come passamano della mente? Per il semplicissimo fatto che io vedo l'uno, ma dopo l'uno c'è il due e dopo il due c'è il tre e poi il quattro, ecc. ecc. Io sono quasi costretto ad andare avanti. In altri termini l'elenco funziona come guida per la mia riflessione, spronandola a continuare fin che può: se c'è l'uno, ci deve essere il due, se c'è il due ci deve essere il tre, se c'è il tre ci deve essere il quattro e così via. La fluidità è considerevolmente stimolata.

La semplice assegnazione del titolo, invece, può far considerare esaurito il compito un volta che io ho espresso se la cosa mi piace oppure no. In questo caso esso è un unico grumo, mentre nel caso precedente era un rosario con tanti grani da far scorrere.

 

L'esperimento

 

Quanto da me asserito è confortato, oltre che dalla letteratura del ramo, anche da un esperimento che ho voluto compiere in un seconda classe (II E) dell'Istituto Tecnico Commerciale "Fabio Besta" di Ragusa il 13/11/2002.

La classe, composta da venti alunni, è stata divisa in due metà (10+10), ognuna delle quali formata da studenti grosso modo delle stesse capacità (per quanto riguarda l'Italiano).

A tutti è stato assegnato il medesimo titolo (da svolgere in un'ora): "In una classe gli alunni scherzano continuamente invece di seguire le lezioni. Cosa pensi di questa situazione?". Mentre, però, alla prima metà era stato dato l'organizzatore grafico con la consegna di riempire quanto più righe possibili (vedi tabella A per la forma dell'organizzatore grafico, con l'unica differenza che le righe erano marcate fino alla n.20), alla seconda metà, che non sapeva delle indicazioni speciali ricevute dagli altri compagni in quanto esse erano state date in loro assenza, veniva detto di sviluppare il tema nella forma tradizionale. Essi dovevano solo preoccuparsi di produrre quante più idee possibili. Non dovevano, insomma, impensierirsi eccessivamente dell'aspetto linguistico, anzi era meglio che adottassero una forma succinta, telegrafica, per avere più tempo da dedicare alla produzione delle idee (non volevo che il preoccuparsi dei connettivi tra le frasi, della loro struttura, ecc. potesse costituire un oggettivo svantaggio per loro).

Ebbene i risultati sono a favore dell'uso dell'organizzatore grafico, se si prende come unità di misura il numero delle idee prodotte.

Infatti, mentre il gruppo di controllo ha prodotto una media di 8,7 idee a testa, il gruppo sperimentale ha prodotto ben 13,1 idee a testa (una differenza di 4,4 idee: in altri termini  il gruppo sperimentale è stato più prolifico di un po' più del 50% rispetto al gruppo di controllo!). In termini statistici questi risultati sono senz'altro significativi. Stiamo qui parlando di un organizzatore grafico semplicissimo: c'è da supporre che un organizzatore grafico più elaborato rispetto a quello qui proposto otterrebbe risultati ancora superiori, se non sul piano della quantità delle idee prodotte, almeno su quello della qualità.

Infine, il quarto modo, prevede l'utilizzo da parte dell'alunno di una griglia prefissata, valida per quasi tutti i titoli (insomma ne prescinde). Ho detto quasi, perché può essere che alcuni titoli richiedano uno sviluppo particolare per cui la griglia che adesso illustrerò non sarà adatta. Ma insomma sono casi specifici, tutto sommato abbastanza rari. La griglia è quella dei Sei cappelli di E. de Bono (1985).

La produzione di testo nell'ambito della cornice dei Sei cappelli consiste nell'utilizzare sei modalità differenti di pensiero, in sequenza (la precisa successione può essere scelta, questa volta sì, a seconda delle occasioni e del contenuto da trattare, dall'alunno stesso o dall'insegnante).

Queste differenti modalità sono tutte importanti nella vita quotidiana e noi, senza individuarle in maniera specifica con un nome proprio, le utilizziamo comunque correntemente.

Solo che non avendo con chiarezza individuato questi lati del pensiero, procediamo in maniera confusa, cerchiamo di fare troppe cose nello stesso momento, senza ordine. Magari in un dato momento utilizziamo soltanto certi tipi di pensiero e ci scordiamo del resto, amputando, quindi, una parte importante della nostra riflessione. Altre volte non ci accorgiamo, invece, che una differente modalità sarebbe più appropriata alla circostanza.

 In Inglese il cappello simboleggia il pensiero, ecco perché de Bono che a quella cultura appartiene, parla di sei cappelli.

I sei cappelli sono, comunque, il bianco, il rosso, il blu, il verde, il giallo, il nero.

Il bianco rappresenta la modalità fattiva: noi indossiamo il cappello bianco, direbbe de Bono, tutte le volte in cui vogliamo essere concreti, andiamo alla ricerca di fatti, desideriamo informazioni, cerchiamo di capire com'è la realtà. Lo studente utilizzerà la modalità del bianco quando dovrà presentare, elencare i fatti (ed in ogni tema ci sono dei fatti che ne costituiscono il substrato!).

Il rosso rappresenta i sentimenti (tutti, quelli positivi così come quelli negativi, ma anche i presentimenti, le intuizioni). I sentimenti normalmente sono gratuiti, cioè è difficile spiegarli o giustificarli né è richiesto di far questo quando si indossa tale cappello.

Quando noi diciamo che una cosa ci piace oppure che non ci piace, in quel momento stiamo indossando il cappello rosso.

Pertanto, con il cappello rosso, l'alunno comunicherà le sue impressioni, le sue reazioni emotive.

Il giallo esprime il tentativo di cercare il lato positivo in una scelta, in un fatto, in un'opzione. Quali vantaggi ci sono qui? Che frutti ne possiamo trarre?

In altri termini, indossando il cappello giallo, lo studente individuerà gli aspetti positivi dell'idea.

Il nero esprime criticismo, individua i lati rischiosi di una scelta, specifica pericoli e debolezze, cerca di intravedere gli aspetti erronei di una proposta.

In parole povere, con il cappello nero il discente si sforzerà di sottolineare i lati negativi di un'idea (ed in ogni idea c'è un lato negativo, anche in quella che ci piace di più).

Il verde è il cappello della creatività, dell’innovazione, delle supposizioni ed ipotesi.

Quindi con il cappello verde, il ragazzo cercherà di esporre le idee originali o personali che gli vengono in mente.

Il blu rappresenta il pensiero per eccellenza, il blu è la metacognizione.

Esso disciplina tutti gli altri cappelli cercando di assegnare un cappello specifico o una sequenza determinata di cappelli alla realtà sotto osservazione, onde evitare confusione o magari un procedere a casaccio.

Gli studenti indosseranno il blu all'inizio del tema per impostare la scaletta di successione dei cappelli (se essa non è stata predisposta dal docente), a metà per controllare come sta andando lo svolgimento ed alla fine per tirare le conclusioni.

 Gli alunni, in classe, in fase di correzione del tema, dovrebbero essere invitati ad indicare all'insegnante i vari passaggi, ove essi non risultassero implicitamente chiari e distinti: dovrebbero, cioè, segnalare le parti in cui si espongono fatti (bianco), quelle in cui si comunicano sentimenti ed intuizioni (rosso), le sezioni in cui prevale il criticismo- che può assumere anche la forma del ragionamento logico- (nero), quelle in cui sono dominanti l’esigenza costruttiva, la disposizione positiva di fronte alla realtà (giallo), i passaggi in cui essi espongono i loro sogni, in cui  si evidenzia la loro creatività, originalità ed immaginazione (verde), per finire con le parti in cui si riflette, in cui "l'autore" prova a tirare le somme, a svolgere le riflessioni conclusive (blu).

Questa cornice è utile non solo perché migliora le capacità di analisi dei discenti, ma anche perché ne disciplina il pensiero, potenziandolo al contempo.

 

prof. Giuseppe Tidona

Ragusa, gennaio 2003

Laboratorio Scuola (altre ricerche del prof. G. Tidona)

 

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Ultimo aggiornamento: 21 giugno 2011